I rischi individuabili in ambito sanitario e le conseguenti buone prassi da attuare
Può essere utile infine un’analisi e relativo approfondimento dei vari rischi individuabili nell’ambito sanitario e le conseguenti buone prassi da attuare. A tal proposito, La sicurezza in ospedale, pubblicato da Inail nel 2012, contiene, in diversi fascicoli, riferimenti ad ogni rischio riguardante chiunque operi in ambienti sanitari. Elemento peculiare di una struttura ospedaliera è infatti la presenza di tecnologie molto diverse tra loro: dagli erogatori di energia (impianti elettrici, termici, idrosanitari, gruppo elettrogeno) agli impianti per il trasporto e le comunicazioni (telefonia, impianti elevatori), passando per impianti sanitari (gas medicinali, sterilizzazione di strumenti), macchinari di laboratorio e tecnologie diagnostiche e terapeutiche, ed arrivando ad impianti per la sicurezza (antincendio, protezione dalle scariche atmosferiche, rilevatori di fumi di gas, sistemi di allarme, illuminazione di sicurezza).
Tale pubblicazione affronta tutti i rischi di cui sopra, fornendo specifiche checklist (secondo un modello formale assai simile a quello poi utilizzato nel documento della Regione Lazio di cui sopra) con domande differenziate, formulate tenendo conto dei requisiti di legge, di norme obbligatorie o facoltative, linee guida ed eventuali proposte dei lavoratori in relazioni a buone prassi da applicare. Proprio nell’ascolto dei dipendenti deve giocare un ruolo fondamentale il RLS, che deve essere consultato nella redazione del documento di valutazione dei rischi, al fine di individuarne i criteri e verificarne i risultati, ovvero la valutazione, le misure di prevenzione e protezione da assumere ed il programma di attuazione di tali misure.
Le stesse azioni di rappresentanza del RLS saranno oggetto di valutazione all’interno delle schede da sottoporre ai lavoratori, garantendo così a questi ultimi un controllo incrociato riguardante la sicurezza in ospedale.
Il ciclo continuo della valutazione dei rischi deve prevedere una riunione degli attori della sicurezza, con definizione degli obiettivi, della metodica e dei mezzi; la valutazione dei rischi; la definizione del programma d’azione, la sua conseguente realizzazione ed evoluzione e la sua eventuale correzione. Quanto ad alcune delle best practices da considerare in relazione a specifici rischi ricorrenti nell’ambito sanitario, si tengano in forte considerazione alcune delle proposte contenute in Five safety tips for healthcare workers, R. Oliver, Occupational Health and Safety, 2015. Tra queste, è fondamentale prendere precauzioni per evitare agenti patogeni trasmessi per via ematica. Gli operatori sanitari dovrebbero adottare le necessarie precauzioni e indossare dispositivi di protezione individuale per evitare ogni tipo di contaminazione.
Altrettanto importante è prestare attenzione agli infortuni da taglio. I bisturi, gli aghi e altri oggetti appuntiti utilizzati in strutture mediche sono solitamente contaminati, e gli operatori sanitari vengono spesso in contatto con essi. Per evitare pericoli per la salute, è dunque importante seguire un sistema di smaltimento appropriato per tutti gli oggetti taglienti e contagiosi. Sarà quindi essenziale godere nel punto di utilizzo di una scatola di sicurezza per lo smaltimento di questi ultimi.
Le lesioni muscoloscheletriche sono comuni per i professionisti in ambito sanitario, che devono sollevare pazienti immobili e trasferirli tra letti e sedie a rotelle. Per proteggersi dai disturbi muscoloscheletrici e da forti dolori, quando possibile utilizzare dispositivi di assistenza come imbracature o esoscheletri.
Alcune sostanze chimiche (come il mercurio) utilizzate nel settore sanitario possono causare gravi malattie quali il cancro o diversi disturbi riproduttivi. Gli operatori sanitari possono essere esposti agli agenti chemioterapici e ai farmaci, da considerarsi dannosi e necessitanti una gestione corretta.
In ultimo, è necessario garantire la totale sicurezza nei confronti del rischio incendi. Le sale operatorie sono a rischio più elevato, essendovi contenuti gas infiammabili. Tenere gli strumenti di cauterizzazione in posti isolati e sicuri, ed utilizzare teli ignifughi rientrano tra le buone pratiche nella gestione di tale delicata materia.
Sempre in relazione alla gestione dei rischi in ambito lavorativo, l’OSHA ha disposto una serie di otto passaggi, contenuti in Compliance Assistance Quick Start, nei quali sono inclusi tutti i vari standard di sicurezza, rischio per rischio, che vadano dalla manipolazione degli agenti patogeni agli standard relativi a malattie contagiose specifiche (dall’influenza alla tubercolosi). Particolare importanza viene conferita al già citato, perdurante cross-training degli operatori, volto a rendere questi ultimi sempre più multitasking ed “ibridi”, pronti cioè a gestire ogni tipo di rischio, anche incrociato, che possa verificarsi all’interno della struttura.
Quanto all’individuazione di rischi in ambiente sanitario, è giusto riportare anche quanto contenuto nell’allegato n.1 al Decreto N. 1697 del 09/02/2018 della Regione Lombardia, con il quale quest’ultima ha approvato il documento CORE PROTOCOL PER LA SORVEGLIANZA SANITARIA DEGLI ADDETTI IN SANITA’. In tale documento sono stati elencati i principali rischi che ogni lavoratore in ambito sanitario deve quotidianamente affrontare: rischi chimici (derivanti da anestetici volatili e gassosi, farmaci antiblastici e formaldeide o altri agenti cancerogeni), biologici (derivanti da agenti emotrasmessi ed aerotrasmessi), biomeccanici e correlati a lavoro notturno, oltre a riportare la normativa relativa all’abuso di alcool o stupefacenti.
Dopo aver definito il concetto di sorveglianza sanitaria aziendale come “l’insieme di atti medici finalizzati alla tutela della salute e alla sicurezza (nella sua componente sanitaria) dei lavoratori, in relazione ai fattori di rischio professionale, alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa ed alla formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica”, vengono forniti protocolli rischio per rischio, volti a valutare lo stato generale di salute del lavoratore, prevedendo accertamenti mirati ai pericoli specifici ed indagini di laboratorio indirizzate a valutare lo stato di salute generale del lavoratore e ad evidenziare eventuali alterazioni che, pur non essendo dipendenti dall’esposizione a rischi professionali, possano controindicare parzialmente/totalmente alcune attività lavorative specifiche. Sulla base dell’esperienza, viene proposta una periodicità dei controlli a 3 anni per lavoratori di età superiore a 45 anni (espressione di età avanzata, facendo riferimento alle indicazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità), e di 6 anni per quelli di età inferiore a 45 anni, come base per tutte le situazioni in cui vi sia un rischio efficacemente gestito. Si prevedono diversi tipi di visite mediche possibili, da non considerarsi alternative l’una all’altra:
-visita preventiva (da effettuare prima dell’inizio di qualsiasi attività lavorativa)
-visita per cambio mansione
-visita periodica (volta ad individuare eventuali, precoci modifiche dello stato di salute del lavoratore)
-visita a richiesta del lavoratore (per approfondire l’insorgenza di talune patologie che il lavoratore ritenga collegate alla propria attività lavorativa)
-visita precedente il rientro a lavoro (obbligatoria dopo un’assenza per malattia di oltre 60 giorni)
-visita di fine rapporto (da effettuare solo nel caso di rischio chimico, a seguito di licenziamento o pensionamento del lavoratore, per valutarne le condizioni di salute e fornire informazioni su quelli che potranno essere eventuali effetti a lungo termine della pregressa esposizione ad agenti chimici).
Altro studio, pubblicato nel novembre 2017 dalla Direzione Regionale Inail per la Toscana, riguardante il settore sanitario è Carichi di lavoro e sicurezza degli operatori sanitari: benessere di medici e infermieri, performance e conseguenze sulla sicurezza dei pazienti. In esso, tramite attenta analisi statistica, si sostiene l’importanza di un buon coinvolgimento lavorativo per permettere agli operatori sanitari di resistere a carichi di lavoro crescenti. Il 75% degli operatori intervistati ha riferito di soffrire di almeno una patologia lavoro-correlata, con al primo posto i disturbi muscolo-scheletrici, seguiti da malattie della pelle e problemi gastro-intestinali. È emerso, tra l’altro, che oltre il 60% delle attività cliniche e assistenziali è svolto in multitasking: in altre parole, gli operatori sanitari svolgono più attività contemporaneamente, e sono per questo esposti ad un impegno cognitivo che supera di gran lunga le ore effettivamente svolte. La comunicazione viene intesa come uno strumento fondamentale per migliorare la sicurezza, ma può trasformarsi in un problema, nel caso in cui essa non venga strutturata correttamente. C’è sempre più bisogno dunque di operatori (e non dunque solo di manager) resilienti, in modo tale da prevenire gli effetti congiunti del lavoro a turni con attività in multitasking ed invecchiamento della stessa forza lavoro. Fattori che favoriscono il coinvolgimento lavorativo possono essere: opportunità di apprendimento, supporto dei superiori, comunicazione, autonomia e leadership adeguata. Quando c’è un buon coinvolgimento, i lavoratori risultano più propensi ad avere un atteggiamento proattivo. Oltre all’orario di lavoro, le condizioni dell’ambiente e le caratteristiche del compito da svolgere incidono sulla performance: ad esempio, la carenza di stimoli, la cattiva illuminazione o il rumore hanno effetti negativi, così come la monotonia dei compiti o la scarsa autonomia professionale dal punto di vista organizzativo. Un prolungamento del turno lavorativo produce poi, chiaramente, un accumulo di fatica e rischi per gli operatori sanitari e per i pazienti. La maggior parte dei medici tendono a negare l’effetto della fatica sulla performance, nonostante le evidenze della ricerca sulle correlazioni tra durata dei turni, orario di lavoro prolungato, lavoro notturno ed effetti sulla salute degli operatori e sulla sicurezza dei pazienti. L’analisi dei carichi di lavoro deve dunque rientrare tra le valutazioni dei rischi connessi all’attività lavorativa, comprendendo tutti gli elementi che influenzino la performance dell’operatore (dedizione e coinvolgimento, richieste della propria mansione, risorse mentali e fisiche).
Alcune buone pratiche relative a rischi comunemente riscontrabili nell’ambiente sanitario vengono proposti all’interno di “Rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro nel settore sanitario – Guida alla prevenzione e alle buone prassi”, documento realizzato nel 2012 dalla Commissione Europea. In esso sono contenute buone pratiche relative ad ogni tipologia di rischio, da quello psicosociale a quello muscoloscheletrico, riportando interviste di operatori sanitari coinvolti in programmi aziendali volti proprio a tutelare sempre meglio la SSL: è il caso, ad esempio, con riferimento alla prevenzione degli episodi di violenza, della prassi di dar vita a corsi di formazione ad hoc nei confronti dei formatori, rendendoli in grado di insegnare tecniche di de-escalation e dissuasione, con lo scopo di insegnare tecniche di difesa e di fuga, i metodi e la didattica, prevedendo una riflessione sugli stimoli che scatenano l’aggressività ed esponendo le varie tecniche disponibili per ridurre l’aggressività. In un altro esempio, riguardante la prevenzione dei disturbi muscoloscheletrici, viene citata la prassi dell’ospedale St. Elisabeth di Tilburg, nei Paesi Bassi: qui è stata data vita alla figura dell’ergo-coach, ovvero collaboratori che partecipano a corsi di formazione circoscritti ai disturbi muscoloscheletrici, i quali, successivamente, forniranno a colleghi e dirigenti una consulenza sui metodi di lavoro ergonomici e sulla concezione ergonomica del posto di lavoro. È stata inoltre data vita ad una rete di ospedali di punta e una rete di lavoratori nel campo della SSL, in modo tale da condividere conoscenze e informazioni mediante incontri annuali, oltre ad una rete di Ergo-Coach, nata a Tilburg e sviluppatasi nei paesi circostanti. Altra buona pratica è quella riguardante la prevenzione di infezioni da contatto, facente riferimento al piano d’intervento messo a punto a tal proposito dall’ospedale distrettuale di Schramberg, in Germania: tra le buone pratiche qui riportate, si possono trovare: l’isolamento dei pazienti infetti; intensivi corsi di formazione, rivolti ai lavoratori, per insegnar loro a gestire le misure igieniche prescritte; il consumo di guanti monouso da intendersi quale indicatore d’igiene; la prescrizione di antibiotici soltanto su stretta indicazione medica, onde evitare la propagazione di agenti patogeni multiresistenti.